Autonomie e premierato, qualcosa non quadra
di Alessandro Maran
Della possibilità o, secondo i punti di vista, della necessità di riformare alcune parti della nostra Costituzione si parla da decenni; e nel corso di questi decenni, la maggior parte dei tentativi di riforma è naufragata.
Ora la coalizione di centrodestra al governo ci riprova. Da quel che si capisce, il centrodestra vuole avanzare sul terreno delle riforme costituzionali procedendo con una logica a pacchetto che tiene insieme tre obiettivi: premierato, autonomia differenziata e separazione delle carriere. A ben guardare, gli obiettivi sono soprattutto due: il premierato che sta a cuore alla presidente del consiglio, Giorgia Meloni, che l’ha definita la «madre di tutte le riforme» e l’autonomia differenziata, cara alla Lega. Alla volontà di andare avanti (con un ddl costituzionale) sulla strada della separazione delle carriere tra giudici e pm, come rassicura Forza Italia che punta ad accelerare sulla giustizia, non ci crede nessuno.
Pare ci sia comunque un accordo politico: il ddl sull’autonomia differenziata dovrebbe andare in aula alla Camera il 29 di aprile per avere il via libera prima delle europee; anche il ddl sul premierato dovrebbe andare in aula al Senato entro fine mese, con un percorso, scrivono i giornali, esattamente speculare a quello del ddl sull’autonomia.
Ma qualcosa non quadra. Come ogni legge costituzionale, il ddl sul premierato deve passare per due letture da parte di entrambi i rami del Parlamento, a distanza di almeno tre mesi tra una lettura e l’altra, e a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. E questo potrebbe non bastare. Se le Camere nella seconda votazione non registrano il sì con la maggioranza dei due terzi dei loro componenti, il testo (entro tre mesi dalla pubblicazione), può essere sottoposto a referendum confermativo (ma senza quorum del 50% dei votanti) per iniziativa di almeno un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. Il testo sull’autonomia differenziata è invece una legge ordinaria che definisce i princìpi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in attuazione della Costituzione (articolo 116, terzo comma), nonché le relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione.
Una volta approvata (comunque la si pensi nel merito) è legge. E stando all’art.2 del ddl, che definisce il procedimento di approvazione delle intese fra Stato e Regione, sarà il Presidente del Consiglio dei ministri o addirittura il Ministro per gli affari regionali e le autonomie (Roberto Calderoli) ad avviare il negoziato con la Regione richiedente ai fini dell’approvazione dell’intesa. Scommetto che non ci vorrà molto. Dopodiché va anche detto che se l’attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia di cui all’articolo 116, è consentita solo dopo la definizione dei relativi livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e dei relativi costi e fabbisogni standard, è probabile che non si farà mai.
Sul merito delle riforme rimando alle considerazioni che hanno svolto in diverse occasioni due studiosi da sempre in prima linea sulle riforme istituzionali, Giovanni Guzzetta e Stefano Ceccanti (Conquiste del Lavoro: http://www.conquistedellavoro.it/attualità/regole-istituzionali-adeguate-un-beneficio-per-i-più-deboli-1.3263021; Il Riformista (https://www.ilriformista.it/guzzetta-il-premier-eletto…/; https://www.ilriformista.it/premierato-la-logica…/; Il Dubbio https://www.ildubbio.news/…/macche-dividere-litalia-io…) e faccio mie le considerazioni che qualche tempo fa ha svolto Carlo Fusaro: “Il riformatore deluso che è in me (e che ancora non si è affatto ripreso dal fatidico 4 dicembre 2016, quando gli elettori buttarono nel cestino il più ampio e serio tentativo di riformare le nostre istituzioni politiche) assiste con scetticismo e molta incertezza al nuovo avvio di un ragionamento sulle riforme, per iniziativa della presidente del Consiglio Meloni. Da un lato dovrei essere (e in fondo sono) ben contento che di riforme si torni a parlare; dall’altro vedo accumularsi un sacco di ambiguità e di equivoci. Il confronto con lo slancio e l’impegno (per molti anche l’entusiasmo) di altre volte è impietoso: penso ai tempi della commissione Bozzi (1983-1985), ai tempi della commissione D’Alema (1997-1998), ai tempi dei governi Letta e Renzi (2013-2016). Magari, per un uno di quei paradossi di cui la storia politica è piena, proprio il tentativo che nasce sotto le peggiori stelle sarà quello che produrrà un risultato. Ci credo poco, ma son pronto a cambiare idea” (https://www.soloriformisti.it/riforme-la-gara-a-far…/). Chissà!
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