Evasione fiscale e sommerso, perché il contrasto di interessi è l'unica soluzione possibile


 di Alberto Brambilla


Se ne parla da diverso tempo ma il "contrasto di interessi" tende spesso a essere trascurato dalla nostra politica. Eppure, in un Paese ad alta infedeltà fiscale come l'Italia, potrebbe rivelarsi la soluzione più efficace per le casse dello Stato, per le famiglie e anche per la battaglia contro lavoro nero e sommerso

Alberto Brambilla

Che l’imposizione fiscale in Italia sia eccessivamente alta per il combinato di imposte dirette e indirette non v’è dubbio, ma non lo è per tutti.

Bisogna infatti chiedersi per chi è così alta e, se non si risponde a questa prima domanda, si continuano politiche che, nel nobile tentativo di ridurre la povertà, hanno invece l’effetto opposto di “addormentare” il Paese. Nel 2008 la spesa per l’assistenza sociale (i trasferimenti Stato-INPS in Legge di Bilancio) era di 73 miliardi, i poveri assoluti erano 2,1 milioni e i poveri relativi 6,5 milioni; nel 2022 spendiamo 157 miliardi e i poveri assoluti sono 5,6 milioni e i relativi oltre 8,6 milioni. Siamo insomma diventati la “fabbrica dei poveri”, ultimi per tassi di occupazione, crescita dei redditi e della produttività. 


Dalle ultime dichiarazioni dei redditi (2022) emerge che il 42,6% dei dichiaranti (considerando le persone a carico, sono 25,23 milioni di italiani) paga solo l’1,73% dell’IRPEF, che ammonta in totale a 175,4 miliardi; il successivo 13,5%, che dichiara redditi tra 15 e 20mila euro, paga il 5,65% dell’IRPEF e un'imposta media di 1.271 euro. Quindi, il 56% della popolazione paga a malapena l’8% dell’IRPEF e, si suppone, ancor meno per le altre imposte, comprese quelle indirette. Insomma, un Paese del G8 in cui il 56% degli abitanti vive in media con meno di mille euro lordi al mese. Considerando i titolari di redditi da zero a 29mila euro emerge che il 77,85% degli italiani corrisponde solo il 25,74% di tutta l’IRPEF (44 miliardi), insufficiente a pagarsi la sola sanità che, nel 2022, è costata 131,1 miliardi per un pro capite di 2.185 euro. Qualche “volonteroso” deve dunque accollarsi ogni santo anno 58 miliardi; poi c’è tutto il resto: educazione, assistenza sociale, sicurezza, e così via. Per contro, quelli che dichiarano redditi da 55 milaeuro annui in su, sono il 5,01% ma pagano il 40,69 % dell’IRPEF; includendo anche i redditi dai 35mila ai 55 mila euro lordi, risulta che il 13,94% paga il 62,52% di tutta l’IRPEF. Infine, considerando i 3.411.822 contribuenti con redditi da 29.001 a 35mila euro, che versano l’8,22% dell’IRPEF totale e pagano un’imposta media annua di 6.031 euro, che si riduce a 4.225 euro per singolo abitante, e versano complessivamente il 11,75 % delle imposte, concludiamo che il 22,15% degli italiani paga il 74,26% di tutta l’IRPEF, la stragrande parte di IRAP, IRES, ISOST e anche delle imposte indirette.


Siamo quindi in presenza di un'evasione di massa, altro che grandi evasori considerando ad esempio (Libro Blu dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli) che la spesa per il gioco d’azzardo in Italia nel 2022 è di oltre 136 miliardi di euro, cui occorre aggiungere almeno altri 20 miliardi per il gioco irregolare. Sarà complicato finanziare nei prossimi anni il nostro generoso welfare se sono così pochi quelli che danno e così tanti quelli che prendono. Altro che portare le pensioni a mille euro al mese: falliremmo dopo pochi anni!


Una possibile soluzione però c'è, il contrasto di interessi. In Italia ci sono 25,5 milioni di famiglie che comprano una serie di servizi e lavori per la casa, aiuti domestici, mobilità e così via, direttamente dai fornitori finali senza intermediari che sono, oltre ai lavoratori autonomi regolari, un plotone di irregolari, secondolavoristi, assistiti da ammortizzatori sociali, disoccupati, tanti clandestini e altri. Tolti artigiani e commercianti regolari, possiamo stimare in circa 4 milioni i "sommersi" (dati Istat), che peraltro fanno una spietata concorrenza sleale nei confronti dei regolari. Moltiplicate il numero di famiglie per 4 interventi l'anno e vengono fuori più di 100 milioni di prestazioni "IVA evasa" che, ipotizzando un costo medio di mille euro, fanno già oltre 100 miliardi! A questi numeri occorre poi sommare le prestazioni fatte dai regolari ma comunque somministrate, almeno in parte, in "nero" per un ovvio motivo di concorrenza e convenienza. Prendiamo il caso di un lavoratore medio che guadagna 1.400 euro al mese e che deve imbiancare casa (la stessa cosa vale per lavori idraulici, elettricisti, tappezzieri, meccanici di bici, moto, auto, carrozzieri ecc.), per un costo dell'intervento pari a circa 1.000 euro; il copione nazionale è ormai standard: "se vuole la fattura sono 1.220 euro ma, se non le serve (anche perché in Italia è indeducibile), posso fare tutto a 900 euro". Ora poiché gli italiani non sono né eroi fiscali e né tantomeno idioti, la scelta è scontata: “faccia 900 euro”. Il fornitore non paga le tasse, l'IVA, i contributi sociali e vive a "carico" di coloro che le tasse le pagano, mentre il capofamiglia, con i 320 euro risparmiati, riesce in quel mese a comprare qualcosa in più per i bambini e per la casa.


Per aumentare il potere d'acquisto delle famiglie, e quindi aumentare in modo razionale i consumi, la proposta chiave è il "contrasto di interessi" che riesce a dare una soluzione a tutti questi temi senza causare perdite di gettito per l’erario dovute al TIR, decontribuzioni, eccessi nell’AUUF, eccessi nell’ISEE (una sessantina di miliardi l’anno a debito). In cosa consisterebbe? Per un periodo sperimentale di 3 anni tutte le famiglie possono detrarre dalle imposte dell'anno (IRPEF e altre) il 50% o 60% delle spese effettuate con regolare fattura elettronica (incrocio dei codici fiscali) nel limite di 5.000 euro annui per una famiglia di 3 componenti, limite che aumenta di 500 euro per ogni ulteriore componente; nel caso di incapienza o di spese che eccedono i limiti indicati, la deduzione potrà essere spalmata e recuperata nei tre anni successivi, mentre si possono prevedere misure compensative quota asili nido, mense scolastiche, trasporti e così via, che consentono un recupero nell’anno. L’elenco dei lavori e servizi alla famiglia detraibili ricomprende quelli forniti direttamente e senza intermediari, alla famiglia; a titolo esemplificativo, possono essere: manutenzione della casa (lavori idraulici, elettrici, edili, tappezzerie, mobili), manutenzione di auto, moto e biciclette, piccoli aiuti domestici.


I risultati? 1) La famiglia, indipendentemente dal reddito, risparmia 2.500 euro di IRPEF (è come pagare i lavori IVA compresa al 50%, che è una bella concorrenza agli irregolari) il che equivale al TIR (1.200 euro massimo) + AUUF oppure alla decontribuzione. In pratica, una quattordicesima e quindicesima mensilità che, per redditi fino a 35mila euro (l’86% dei contribuenti come emerge dai dati Itinerari Previdenziali), rappresenta una riduzione del 50% del cuneo fiscale. 2) Gli irregolari, diffusissimi da noi vengono drasticamente ridotti, si inizia un “circolo virtuoso” e si spezza la catena che nero tira nero; questo è forse il maggiore risultato dell’intera operazione: si riafferma la legalità. 3) Lo Stato, se si considera la differenza tra il mancato gettito delle famiglie e le nuove entrate prodotte dai lavoratori autonomi, ne esce potenzialmente alla pari, anche se si recuperano le contribuzioni INPS, si riduce l’evasione IVA (oggi sono evase per 8 fatture su 10) e si incassano anche più IRES e IRAP. 4) Ma il vantaggio sostanziale è che si ottiene un forte riequilibrio tra lavoratori dipendenti e autonomi con una più equa distribuzione dei carichi fiscali, il che dovrebbe portare il sostegno di tutte le parti sociali, anche perché i benefici riguardano tutte le famiglie di dipendenti, autonomi e professionisti. 5) I prezzi non aumentano per il semplice fatto che la famiglia cercherà di far stare più spese possibili nei 5mila euro. 6) A regime lo Stato può risparmiare i 12/15 miliardi l’anno del TIR e può ridurre, grazie all’emersione di molti redditi, anche alcune prestazioni legate all’ISEE per almeno ulteriori 5 miliardi. Si trova inoltre a disporre di un “esercito” di controllori fiscali che più chiedono fatture da scaricare più guadagnano con riduzioni dei costi della macchina fiscale.


Per un Paese ad alta infedeltà fiscale il contrasto di interessi è l’unica soluzione possibile: perché non sperimentarla? Quali sono gli ostacoli? Solo politici, ideologici e burocratici. E poi, perché mai gli attuali evasori dovrebbero emergere se si riduce l’IRPEF o si applica la flat tax quando, per beneficiarne, dovrebbero pagare il 24% di contributi sociali, l’Inail, l’Iva e le altre incombenze fiscali?  Ultima domanda: perché non si è mai fatto se la prima nostra proposta risale a prima del 2004? Perché sono mancati il coraggio e la voglia di un cambiamento vero a favore dei nostri concittadini, soprattutto quelli onesti.


Alberto Brambilla, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

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